Un anno fa ho voluto rileggere la tesi di laurea scritta nel 2000 dall’allora studentessa Cristina Bergamo.
Ho pensato che avendo già una base storica, potevo scrivere con più libertà i miei ricordi di vita.
Dopo poche settimane avevo già scritto cinquecento pagine. Troppe per un libro. Le sfoltii fino a salvarne circa duecento.
Le altre cinquanta le dedicai ai “Giardini della memoria – tra mito e natura” di Chiara Polita e ad “Un pensiero per Adriano” di Michele Zanetti, dedicando infine un ampio spazio alla tesi di Cristina Bergamo.
Scrissi della mia infanzia, delle esperienze di vita in un periodo drammatico come è stata la guerra, scrissi delle difficoltà della mia adolescenza e dei primi tentativi nel campo dell’arte.
La mia prima importante mostra personale, a vent’anni, nel 1955, la allestii nell’Hotel Savoia di Cortina d’Ampezzo, dove ebbi modo di conoscere il pittore Massimo Campigli.
E dopo poco più di un anno, nel gennaio del 1957, grazie al critico d’arte Mario Portalupi, ero già a Milano con una personale nella elegante galleria d’arte del “Centro Artistico San Babila”. Ed è qui, a Milano, poco più che ventenne, che cominciai la mia avventura artistica!
Niente di speciale, direte: ma bisogna trasferire questi fatti a quel tempo, a pochi anni dopo la fine della guerra mondiale che, nonostante tutto, nel campo dell’arte, c’era meno caos e più rigore di adesso.
Nel 1959 con alcuni studenti del Liceo Scientifico di San Donà di Piave, fondai il mensile “Il Provinciale”.
San Donà di Piave non era la città che conosciamo ora! Mi iscrissi all’ordine dei giornalisti e cominciai a dirigere questo “mensile”.
Chiamai a darmi una mano l’amico scrittore e poeta Tiziano Rizzo. Non posso tacere l’amicizia con Tiziano Rizzo. Eravamo coetanei. Ci siamo conosciuti quando vestivamo le tonache di chierichetti. Poi ci fu la guerra, la pace e la ripresa. Non ricordo bene quando riprendemmo a frequentarci: penso nei primi anni cinquanta. Lui scriveva, io dipingevo. Ci univano le stesse idee e il desiderio di uscire dalla provincia.
Abbiamo lavorato per dare un indirizzo, il più rivoluzionario possibile in quel tempo, al mensile “Il Provinciale”.
È stato poi il mediatore della mia mostra di Cortina d’Ampezzo.
Gli articoli di fondo del Provinciale erano l’espressione dell’inquietudine, del desiderio di libertà, della voglia di discutere che animava l’ambiente giovanile d’allora. Affrontavamo problemi molto sentiti ma difficili come il rapporto tra città e provincia, città e cultura, provincia e moralismo, libertà di stampa.
Apparvero anche firme come quelle di Diego Valersi, Carlo della Corte, Giorgio Caproni, Aldo Camerino.
Ma al potere non andava bene questo mensile: troppo intrigante. Mons. Saretta lo denunciò dal pulpito per faziosità ….e guai a chi cercava di leggerlo! Nessuno ebbe il coraggio di acquistarlo.
Questa era la San Donà del 1959.
Al sesto numero già si dovette chiudere. L’idea era buona, ma vinse il “potere”. Dal 1959 e negli anni successivi, (\ a Milano, allestii le mie mostre personali nella Galleria d’Arte Larbaroux, ancora punto d’incontro dei massimi artisti italiani di quel tempo, dove ebbi modo di conoscere Carlo Carrà che, ogni sera, veniva in galleria con la moglie Ines a fare quattro chiacchiere col giovane Pavan, diceva.
Lui, così burbero, aveva un senso di paterna tenerezza nei miei confronti.
Mi diceva spesso “Devi schiarire la tavolozza Pavan, e non dimenticare che della realtà è necessario idealizzare ogni cosa, senza la quale non vi è arte possibile, ma soltanto documentazione e altro aspetto esteriore e provvisorio della natura.”
Sì, mi dava dei consigli, gli stessi consigli che si danno ad un ragazzo che ha voglia di crescere.
La trasformazione della civiltà contadina che portò migliaia di persone ad abbandonare le grandi case patriarcali per giungere nelle periferie delle grandi città, si tradusse nei miei quadri talora in poesia nostalgica, tal altra in cupa disperazione.
Tutto questo culminò nel periodo della contestazione con eventi di grosso spessore sociale e partecipazione sentimentale ai problemi di quel tempo.
A Milano ebbi modo di conoscere importanti artisti e critici d’arte. Mi fu caro l’amico Bruno Fanesi, pittore, proprietario dell’Arte Galleria di Ancona, dove esposi più volte le mie personali. Era uno di quei tipi che si era fatto strada da solo a colpi di coraggio e di umiltà, anarchico per quanto vuoi dire sentirsi indipendenti e senza compromessi e mercimonio, buono al punto di non avere preoccupazioni d’esserlo.
Sempre a Milano, incontrai altri pittori come Ajmone, Cazzaniga, Cappelli, Montanari, i fratelli Bueno e tanti altri allora noti. Ma era nello studio di Fanesi, in via Sant’Agnese, che si accendevano le vivaci discussioni che mi portarono a spostare la visione lirica del mondo verso la condizione di vita nelle campagne.
Fu allora che cominciò il mio periodo espressionista!
Venduto molto a malincuore lo studio di via Trento, traslocai in quello attuale di via Jesolo. Erano trascorsi cinque anni dagli ultimi echi della “Città crea mostri”!
Raggiunto il vertice della piramide, pensai, proseguire significava la caduta, l’eterna ripetizione dei temi superati dal tempo, cioè la morte della mia pittura.
Scelsi la vita.
Volevo immergermi nella luce, allontanare la morte, volgere lo sguardo verso il sole e creare immagini fatte dì verdi smeraldi ravvivati da fiori, appunto, di luce… Dal nero della morte alla vita.
Da questa esperienza, nel 1989, maturarono i “Giardini d’artista”. Luoghi misteriosi che facevano pensare alla creazione: desiderio di equilibrio e abbandono ai sensi della terra nel flusso dei venti e delle stagioni.
Questi Giardini sono in fondo il regno della fantasia, ed ogni individuo ne possiede uno, al quale può accedere liberamente.
Negli anni ’80 e ’90 la rivista d’arte ” D’ARS ” di Milano mi organizzò diverse personali in tutta Italia, ma la più importante è stata certamente la mostra ispirata ai miei “Giardini d’Artista”. Una mostra composta di sei personali di sei pittori tra i quali spiccavano Enrico Baj, Gian Carlo Venuto, ed altri, mostra allestita nel 1994 nei locali del-Forte Crest di San Donato Milanese.
Nei quarant’anni che ho lavorato nello studio di via Jesolo, ho partecipato a tante mostre in tutto il mondo e allestito importanti personali e mostre antologiche, anche di duecento opere, come quella nella Villa Pisani di Stra.
Sono stati gli anni del “Giardino degli artisti” del “Fiume ritrovato” del “Concerto campestre” ed ora dei “giardini della memoria”. Amicizie nate e dimenticate. Gioie e delusioni. Film e soprattutto video professionali. II Premio Letterario “Costantino Pavan”. Tutta la mia storia dell’Accademia d’Arte Vittorio Marusso.
Solo per questi quarant’anni potrei scrivere le mie cinquecento pagine.
Nella primavera del 2012, lo scrittore e critico d’arte Mario Bernardi doveva presentare la mia personale al Centro Culturale Leonardo da Vinci, ma era molto malato.
Un giorno Mario Bernardi volle ugualmente visitare la mostra. Guardò i quadri. sedette sul divano, prese il libro delle firme e scrisse forse l’ultimo suo pensiero:
“Avrei voluto, ma non c’ero. Ci sono adesso con la gioia della scoperta e della riscoperta.
L’evoluzione pittorica di Adriano che si osserva con grande emozione nella rassegna delle opere passate, induce a riflessioni estetiche di grande importanza.
L’artista ha varcato la soglia del colore, come un fatto liberatorio della propria anima, e ha raggiunto — in alcuni quadri dove la natura si confonde alla figura femminile – un “pathos” di eccellente misura: nelle ultime tele — soprattutto — quando sembra rifugiarsi un poco nella grandiosità del `Secessionismo”, aggiungendovi la unicità di un colore intenso che accompagna il sogno dell’artista.
Il verde, paradigma della speranza e della vita è, simbolicamente, la gioia che ci ispira alla visione del mondo, nella dimensione di una certezza che raggiunge la catarsi della vita e non si sottrae — per giunta —alle difficili conclusioni di speranza e di gioia che appaiono in soggetti nudi che esprimono la bellezza della vita.
Singolare — infine — la personalità subliminale di un pittore adulto che consente la vitalità e la gioia di essere eternamente testimone della volontà di vivere e di amare.
Restasse con noi questa mostra eccellente e unica per la storia e la fatica di un artista che cammina nella sua strada da moltissimi anni e non intende fermare i suoi colori e le sue figure che esprimono stati d’animo di amore e di bellezza.”