L’anamnesi dell’identità culturale di un artista si dipana pian piano, mentre lo si guarda lavorare rendendoci conto che, per lui, la percezione del mondo esterno improvvisamente sbiadisce per lasciar posto ai movimenti ritmici che accompagnano la sua ansia della ricerca del colore e l’adattamento del proprio lavoro all’idea che in quel momento insiste dentro di lui, fino al raggiungimento dello scopo che si è prefisso.
Adriano Pavan è un sensitivo indissolubilmente legato al mondo e ai rumori che lo circondano. Siano esssi il fruscio dell’erba che ricopre gli argini del suo fiume o i richiami della natura, legati al flusso delle stagioni, che sono una parte essenziale nelle scadenze spettacolari dei giorni che passano. Un pittore sensitivo comunica coi suoi pensieri nell’inverarsi delle cose che ama, e non può disgiungersi dall’ansia creativa che tiene dentro di sé senza perdere la memoria poetica del suo mondo, fatto di fiori, paesaggi, figure sognanti, creature umane che rappresentano lo stupore di un sogno irreale ma palpabile, nell’allegorica rappresentazione che si fa palpabile. Così come ricordava Paolo Rizzi in uno di quei suoi “ritratti fulminanti” che lo hanno reso famoso per la percezione -quasi biologica- della personalità degli artisti di cui ha parlato. “Pavan, come Matisse -diceva Rizzi- non dipinge i soggetti che gli stanno di fronte, ma il rapporto che c’è tra lui e il mondo che gli sta davanti”.
La lunga strada percorsa da Adriano Pavan inizia nella sua città -San Donà di Piave- e subito la vocazione lirica della pittura lo spinge in direzione delle acque del suo fiume, da dove trae spunti eterogenei, fatti di simbolismi cari alla sua delicata certezza del vivere. Già nel 1956, con l’incoraggiamento di critici d’arte importanti, come Mario Portalupi che gli dedica una monografia pubblicata da Rebellato. Poi, l’esordio ufficiale a San Babila e alla “Galleria Barbaroux” di Milano. Gli incontri e le frequentazioni coi Maestri del tempo e una folgorazione particolare per Carlo Carrà, la cui reminescenza appare con chiarezza nei paesaggi degli anni “Sessanta, quando -dalla plasticità terragna della sua terra- fa sorgere case spettrali e alberi spogli che sembrano pregare il sole perchè ritorni. Adriano Pavan ama anche misurarsi anche con la “linoleografia”, scegliendo, in questo caso, soggetti variabili che appartengono al “Fiume Ritrovato” del 2002, che prendono spunto dalle delicate liriche di Paolo Frasson e sono frutto di un espressionismo univoco, identificabile soprattutto nel volto di un “Cristo in croce” con lo sfondo delle Dolomiti, o nella quieta immagine di una ragazza circondata dai fiori di un giardino. E via via, nel percorso di un “luminista” che fa distinguere la sua pittura fra tutte, per la composta sublimazione degli spazi e le evanescenze di figure leggere che accompagnano -con la loro dolcezza- i grandi mazzi di fiori inseriti quasi sempre a corredo del suo “sogno della pittura”. Nell’antologica odierna leggiamo soltanto una esigua parte dell’immenso patrimonio del pittore, che dà la misura del suo spirito e la certezza del valore della sua arte.

Mario Bernardi